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Lévi-Strauss: teoria della lingua o antropologismo?
Alessandro Di Caro
Lévi-Strauss: teoria della lingua o antropologismo?
Anno: 1981
Pagine: 316
Prezzo: € 15,49
Dimensioni: cm 14,0x21,0
Legatura: Brossura

Collana: l'alingua
ISBN: 8877700513

Estratto del libro
"Questo libro lucido e lungamente pensato di Sandro Di Caro complica e semplifica una triplice linea di ricerca che lo rende tra i più riusciti e documentati strumenti di comprensione del pensiero francese degli ultimi anni. Una linea, dapprima, che gira e rigira con il progressivo alzamento del tiro intorno a Lévi-Strauss e al suo grosso problema di come un'etnologia sia potuta tradursi in antropologia vastamente egemone, di come una cultura positiva sia potuta diventare categoriale, anzi strutturale, di come la storia e la diacronia possano vestire la forma del linguaggio, parentale, "primitivo", fino alla grande orchestra dei miti.
Una seconda linea investe, continuando a salire o approfondire, il panorama intero del pensiero filosofico francese, dalle vicende sartriane agli esiti più recenti, come quelli registrati nelle "proposte" politiche dei retroterra dell'autonomia o nelle fughe gnostiche e dualistiche, che azzerano le opere e i giorni dell'uomo, in attesa quasi disperata, fatto appena salvo il grido "l'Angelo venga", che l'uomo venga liberato dal suo spessore carnale.
La terza linea si contorce con le altre due fissando in rosso il risultato critico. E si respira aria di crisi: come la risoluzione nel pansemiotismo; come la decostruzione antropologica – 'il significante [l'uomo] galleggia sul mare dell'oggettività come una zattera senza peso'–" [...] (Dalla Nota introduttiva di Italo Mancini)
Quarta di copertina
Questo libro compie una lettura del testo di Lévi-Strauss nei termini della fondazione di un'antropologia non universalistica e non teocratica. Al di là di quell'antropologismo che elude il tempo di parola per istituire la parola sul tempo; attraverso la medicina come metafora dell'azione politica volta a guarire dall'inconscio; attraverso la sessuologia che stabilisca il concetto d'identità sessuale sulla biologia; attraverso l'arte come museo di un godimento assegnabile; attraverso la storia come ripristino di una memoria di archivio anziché come trascinata dalla dimenticanza. Infine e sopra tutto attraverso la politica dell'incesto che sul modello di una rivalità che è fobica edifichi la repubblica della malinconia. In un'assenza dell'etica per l'istituto dell'occhio per occhio. L'antropologismo forma un vasto assortimento di risposte al desiderio attraverso la rappresentazione della crisi della fine di secolo sotto la fantasmagoria della fine del tempo e attraverso i segni ora tragici ora comici con cui si annuncia il paradosso della promessa di una distribuibilità del godimento. E da molto forse non accadeva come nell'anno sociale '79-'80 che sulla scena culturale parigina ricorresse tanto il significante morte e non solo nei necrologi propriamente detti ma in particolare a proposito dell'antropoanalisi, dei suoi promotori e delle sue istituzioni. In una drammaturgia spesso polemica e triste in cui emergono eminentemente le tesi dell'antropologismo. Dopo la fine delle avanguardie, delle scolastiche e delle cappelle culturali nonché del sessantottismo. Con qualche elogio ora dell'ipnosi tbilisiana ora della madonna. Qui del fisiologismo lì dello junghismo. Ma non solo a Parigi l'inseguimento di un'arcaicità caratterizza l'era mitologica di questa fine di secolo: ricerca di un principio che stia prima della parola, di un fondamento della contabilità del godimento e di una garanzia da una verità non catastrofica e non tributaria del velo attraverso il capovolgimento, attraverso lo strappo e attraverso l'autopsia. Credenza in un nome del nome che possa purificare la truffa, economizzare il furto e calcolare la rapina.
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