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Non tutto è politica
AA.VV.
Non tutto è politica
Anno: 1981
Pagine: 107
Prezzo: € 7,75
Dimensioni: cm 12,5x19,0
Legatura: brossura

Collana: l'alingua
ISBN: 8877701137
Contributi di: Aldo Tagliaferri, Dario Fo, Emilia Cerutti, Enrico Deaglio, Giorgio Santerini, Gregory Berglund, Jean Daniel, Jean-Paul Dollé, Jean-Toussaint Desanti, Milan Kundera, Piero Santi, Renato Besana, Ugo Intini, Umberto Giovine, Virgilio Dagnino
Estratto del libro
In sostanza ci domandiamo se l'enunciato "Non tutto è politica" presuppone che dentro un mondo politico ossia dentro un mondo invaso dalla politica si possano salvaguardare spazi di soggettività, e cioè accanto all'autonomia delle culture anche un'autonomia relativa quale quella della creazione.
A tal proposito credo che sia necessario fare alcune osservazioni che potranno sembrare ovvie.
In tutte le civiltà e fin dalle epoche più lontane è accaduto che gli uomini si trovassero a attraversare tempi d'emergenza in cui erano tentati di abbandonare tutto per consacrarsi alla lotta politica.
Ma sappiamo d'altra parte che l'eredità che ci tramandiamo è fatta delle opere create in ambiti diversi da quello politico e assai raramente le innovazioni politiche rientrano in tale eredità. Sarebbe facile portare degli esempi: basti pensare alla civiltà egizia o al Quattrocento italiano di cui ci resta un'eredità creativa al cui confronto impallidisce il ricordo delle lotte politiche. Ma gli interventi di stamattina hanno sottolineato che la politica prende il sopravvento quando lo richiedono i tempi.
A questo punto ammetterei che alcune questioni su cui ci siamo interrogati lungo questo dibattito possano sembrare un lusso perché per salvaguardare la soggettività occorre comunque assicurare la sopravvivenza del soggetto.

Quarta di copertina
La cultura che richiamandosi all'universo distribuisce gli abiti dell'universale e dell'universitario con cui celebrare la diversità costituisce indubbiamente una fogna su cui il buon governo può affiggere gli stemmi significativi di volta in volta della nazione e dell'origine di ogni evento futuro. Spolverarla e restaurarla ogni tanto consegna al suo patrimonio tutto il suo valore coprofilo di politica culturale. Trattata com'è dai mass media, la cultura si fa mensile a New York, annuale a Parigi, trimestrale a Milano mentre a Roma appare come un quotidiano che arriva tre giorni dopo. L'Europa occidentale pare avere assegnato alla cultura una definizione necrologica favorita dalla scomparsa di molti padri del precedente trentennio che hanno lasciato ai nipotini l'invidiabile impiego di formare il loro ritratto nei mass media. E psicanalisti e sociologi in ogni circostanza funerea per illustrare i paramenti della cronaca già nera sono stati premuti come pulsanti di macchine semantiche a spiegare tutto. A interpretare ogni pagliuzza senza indicare il fuoco. A dare un senso guidando l'intellettuale verso l'abito. A edificare l'anima del collettivo in direzione delle fabbriche del consenso. La cultura viene identificata in Francia con l'antropologia, con i rifiuti di un'ascesa illuminata e pagante o con i legami pericolosi e anadisciplinari. In Germania con l'istituzione – paga del suo riferimento allo stato – o con la reiezione. In Italia con la politica che per grazia, gratuitamente la presenta come emarginazione e la distribuisce come patrimonio fruibile custodendola. O con il segno della dannazione. Sono modalità diverse di metterla al servizio del patriottismo.
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