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Labirinto
Enzo Fontana, Francesco Bellosi (Cecco), Franco Bonisoli, Giorgio Semeria, Lauro Azzolini, Vincenzo Scaccia
Labirinto
Anno: 1988
Pagine: 80
Prezzo: € 7,75
Dimensioni: cm 14,0x21,0
Legatura: brossura

Collana: l'alingua
ISBN: 8877702222

Labirinto, testo che si presta alla riduzione teatrale, è stato elaborato e scritto da alcuni detenuti politici del carcere di San Vittore. Essi provengono dalla lotta armata degli anni settanta. Li elenchiamo in ordine alfabetico. Tra parentesi indichiamo gli anni di carcere fatti da loro fino alla data di pubblicazione del testo. Diversa è, evidentemente, la condanna totale che per motivi di rispetto non indichiamo: Lauro Azzolini (10 anni), Francesco Bellosi (8 anni), Franco Bonisoli (10 anni), Enzo Fontana (12 anni), Vincenzo Scaccia (10 anni), Giorgio Semeria (12 anni).
Nel 1988, anno della pubblicazione, è stata realizzata la messa in scena del testo nell'ex teatro Pier Lombardo di Milano oggi Franco Parenti con la collaborazione di molti intellettuali milanesi.
Estratto del libro
Sembra che tutto sia più leggero, ma forse sono solo io a esserlo: in questa esperienza, ho lasciato una parte di me. Non il passato, che rimane dentro con i suoi segni e le sue nostalgie, ma il suo voler essere presente, costretto a scansioni e luoghi che ripetono all'infinito lo stesso linguaggio.
Una tela di ragno costruita a più mani, le mie e quelle dei miei carcerieri: più volte ho provato a interromperla, diventandone sempre più prigioniero. Quando pensavo di essere arrivato alla fine, per caso, invece, ho trovato una mia dimensione.
Altri vi hanno letto il simbolo di un nuovo senso dell'essere. Un prete e il suo mondo, per primi. La cosa non è poi tanto strana: chi crede alla grande rinascita è portato anche a credere alle piccole rinascite della vita quotidiana. Poi la gente del popolo, che ha scoperto uomini dietro maschere faticosamente portate. Decine e decine di lettere, dal cuore. Giorgio e Marco, su tutti. Giorgio,
amico disperso in uno degli esodi; Marco, il compagno di sempre. Infine, i politici e le loro misure.
Di fronte al "caso" giungono a frotte: poi dimenticano fino alla prossima volta. Non hanno tempo per pensare che dietro queste sbarre, in questo grigiore, c'è una parte di loro stessi. Chi ha fretta non si sofferma sull'uomo, tanto più prigioniero. Tocca anche a noi assumere il compito di mantenere attuale il problema, ogni giorno. Per anni, ho guardato fuori di queste mura pensando a un altro mondo: adesso mi sembra meno lontano.

Quarta di copertina
Nel tempo e nello spazio di una prigione è la genesi di questo testo teatrale. Gli autori sono un gruppo di detenuti politici, in carcere da tanto di quel tempo che la memoria stenta a abbracciarlo. Quale senso può avere, per noi troppo spesso menzionati a sproposito, lo scrivere di teatro? Anzitutto, vorremmo che ciò non fosse a senso unico, poiché il senso dovrebbe sempre essere un'opera almeno a due. Poi, questo testo teatrale è un tentativo di liberarci da qualche stereotipo, tra i molti che ci hanno costruito addosso. Nessuno è la propria immagine.
Non siamo animati da alcun intento pedagogico, in questa trama di personaggi che vivono e di storie che si raccontano dalla prospettiva di una prigione. In fondo, le parole stentano a comunicare un'esperienza, giacché questa sempre esige di essere scritta sulla propria pelle.
La storia, quella non ufficiale, è scritta su una pergamena di pelle umana, tutto quello che infine resta dei sogni della gioventù. In qualcosa, ogni generazione vuole tornare all'origine, sorta di reincarnazione del mito di Eva e di Adamo alle prese con l'albero della conoscenza del bene e del male. E certo è che nella vita ogni generazione troverà labirinti, giardini e serpi. Questo è il teatro nel quale si troverà a vivere. Ogni generazione vuole trovarsi e ritrovarsi, anche se i più finiranno con il ritrovarsi soli...
Un fatto, fra tanti eventi inesplicabili, ci pare limpido: se qualcosa in noi ha retto ai decenni di prigione non è la coscienza politica, questo specchio di illusioni presto infranto dalle delusioni. Quel qualcosa che non si è spezzato è l'essere, l'essere umano che dovrebbe abitare ciascuno. Seppure tra mille e una notte di sogni e di incubi, per quello in cui credevamo abbiamo consumato la nostra gioventù nelle galere.
Ma, nonostante le brutture, le carceri e le violenze, non abbiamo smesso di essere uomini.
(Gli autori)
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