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La rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia nell'ultimo scorcio del XIX secolo: Lautréamont e Mallarmé
Julia Kristeva
La rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia nell'ultimo scorcio del XIX secolo: Lautréamont e Mallarmé
Anno: 2006
Pagine: 585
Prezzo: € 30,00
Dimensioni: cm 14,0x
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21,0
Legatura: cartonato con sovraccoperta

Collana: l'alingua
ISBN: 9788877707543

Estratto del libro
Una rivoluzione del linguaggio poetico, nel senso dell'ostinata rotazione della terra attorno al sole, c'è da sempre. Strumento della rimozione, il linguaggio poetico ritorna sulle proprie tracce e a forza di ripassare di là fa si che avvenga il rimosso. Non come sintomo o come angoscia consunta, analizzata. Ma quasi aurora sopra la notte, quasi luce piena sul viso incavato, quasi iperbole di un fuoco incessante. Eraclito è il sublime pensatore di questa poeticità che ogni linguaggio cela, anzi ora si avverte come ciascun sema, ciascun morfema sia già una metafora. Il linguaggio poetico è la messa a nudo di questa logica, di questa rivoluzione che costituisce l'essere parlante in quanto parla cioè ripete senza sosta le proprie rotture, le proprie separazioni e le sposta indefinitamente, all'infinito, per fame quel che poi risulta un senso.
Gli abitatori del secolo scorso, ossia la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei, quando di questa rivoluzione si domandavano chi potesse essere il soggetto (cos'è un poeta?), potevano immaginaria soltanto come la confessione senza rossore di fantasmi intimi, sessuali s'intende, e così narcisistici che gli altri io, gelosi, potevano solo avvertire una repulsione frammista a fascino. Freud conosceva la seduzione e la vertigine di questa esperienza repulsiva e priva di ritegno (la letteratura non sarebbe intrinsecamente amorale?) ma, da quel clinico sottile e da quell'avveduto scrittore che era, ben si guardava dal confonderla con il sintomo. Pensava infatti che con l'espandersi della tecnica avesse un suo salutare impatto sociale. Freud guardava all'arte e alla letteratura anteriori alle esperienze contemporanee, a un'arte e a una letteratura portatrici di una poetica codificata che mediante la convenzione e il verosimile contrastava l'inquietante irruzione del rimosso.
E ormai, da allora, ha avuto luogo una nuova rivoluzione. Con un ulteriore giro su quell'asse in cui l'uomo significa il proprio corpo e i propri oggetti, da essi separandosi per ritrovarli ormai soltanto come simbolici, la poesia si è perfino messa a scavare il Verbo. Un'esperienza che per il passato era nota solo entro i mistici margini delle religioni e per la prima volta diventava non un'esperienza di massa ma un'esperienza laica. E per la prima volta si offriva all'ascolto di ciascuno, non alla comprensione di tutti. La musica di Mallarmé, la logica di Lautréamont ci dissuaderanno dallo scambiare per pura « formalità » un processo di linguaggio che pur abbracciando tutti i fronti della significanza concentra la sua forza su quanto la significanza ha di più resistente, di più comunitario, di più inconscio, magari anche le regole lessicali, sintattiche e logiche. In questa esperienza risulta chiamato in causa tutto un insieme di credenze e perfino le strutture sociali (stato, famiglia, reli-
gione, sistema di scambio). Per lo meno è questa la tesi del libro. Tuttavia la novità di questa rivoluzione ha fatto la sua comparsa proprio nella cosiddetta forma, che da quel momento non è più apparenza o superficie ma nodo di strategie eterogenee, semiotiche e simboliche.
Novità che inquieta, attrae, interroga.

Quarta di copertina
La nozione di pratica è fondamentale in questo libro di Julia Kristeva.
Si tratta di una pratica di linguaggio in cui la letteratura si costituisce come il campo in cui il soggetto non cessa di essere messo in processo. E non è quel che risulta dal lavoro di un autore, ma il lavoro in cui il soggetto si produce come effetto di una pratica significante.
Kristeva parte dall'analisi della svolta verificatasi nella letteratura alla fine del XIX secolo, e in particolare dall'esperienza di Mallarmé e Lautréamont che sconvolge la fonetica, il lessico, la sintassi, le relazioni logiche, l'ego trascendentale. Attraverso questa analisi Kristeva giunge a mettere in relazione il campo marxiano (in cui è in questione la produzione) e il campo freudiano (in cui è in questione il soggetto) in modo per niente complementare: le esperienze di Marx e di Freud non sono convergenti ma costituiscono articolazioni diverse di quanto la letteratura pratica come linguaggio poetico. La linguistica, così, cessa di essere una scienza costituita, universitaria, mentre in essa si profilano due tendenze inseparabili ma distinte: il simbolico, ordine dell'individuazione, dell'enunciazione, della significazione, e il semiotico, momento d'irruzione della pulsione nel linguaggio, ritmo,senso.
E nella dialettica di questi due momenti il linguaggio poetico compie la sua rivoluzione. Una rivoluzione non teologica, non risolutiva, in cui le grandi istituzioni occidentali, lo stato, il diritto, la religione, vengono erose da questo lavoro nella lingua.
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