Estratto del libro
Quando, una quarantina di anni or sono, ho incominciato a scrivere le pagine che costituiscono questo libro, non avevo alcuna idea delle relazioni tra la scrittura e il potere. L'inizio di questa impresa risale infatti al giugno 1967, dopo la sconfitta della guerra dei sei giorni che mi è apparsa come una sconfitta dell'insieme del terzo mondo, esclusa l'India. È vero che l'Occidente aveva combattuto senza tregua i movimenti di liberazione del terzo mondo, senza attenersi ad alcun principio legale o umanitario. Ma è anche vero che il potere politico nei paesi del terzo mondo, esclusa l'India, era nelle mani di un solo dirigente. Nessun'altra voce tranne la sua poteva essere intesa, nessun'altra opinione poteva esprimersi; chiunque si avventurasse per le strade della dissidenza non aveva altro destino che la prigione o la morte. Inoltre, sebbene la parola "liberazione" abbia sollevato grandi passioni tra le masse, passioni sempre sensibili negli scritti di Frantz Fanon, di per sé non faceva che indicare una meta, la liberazione dal colonialismo e/o dalle pressioni politiche esercitate dalle due grandi potenze dell'epoca, senza dire come raggiungerla né che cosa farne dopo che fosse stata raggiunta.
Quarta di copertina
Dall'inizio della storia, il potere politico in Medioriente ha sempre tratto legittimità dalla religione. Questo va di pari passo con la sacralizzazione della lingua della scrittura opposta alla lingua vernacolare e quotidiana e, perciò, con la subordinazione della scrittura a fini di prestigio e di sfruttamento. Lo stato islamico non fa eccezione. Ma, come ha dimostrato in modo inconfutabile lo sceicco 'Al 'Abd al-Razek, né il Corano, né i detti del Profeta contengono la minima indicazione sui principi di governo. Con un'impostura che raramente trova uguali nella storia politica dell'umanità, i governanti si sono serviti dell'ambiguità dell'espressione "successore del Profeta" per rivendicare il potere assoluto e mettere la religione sotto la ferula dello stato. Ne è risultato un modo di governare che si regge sulla corruzione, sulla repressione e sulla censura incarnata nella suddetta politica della scrittura. Finché lo stato riesce nell'espletamento dei suoi compiti, il regime teocratico pare conforme all'ordine delle cose. Il suo fallimento non dà luogo a una rivoluzione ma a un terrorismo che giunge a contestare la sua legittimità. In effetti, i terroristi della nostra epoca fondano la loro contestazione su un dogma omicida con cui si autorizzano a ergersi giudici in materia di fede religiosa, arrogandosi un sapere che il Corano riserva espressamente a Dio. Questo libro senza compromessi è un appello sia all'uso del vernacolo come lingua di cultura sia alla liberazione dell'islam dal giogo del potere temporale. In questo modo, abbozza un quadro sorprendente dello stato attuale della cultura nei paesi arabi.
Avvertenza per l'edizione inglese Prefazione all'edizione francese Introduzione 1. I fattori della dominazione occidentale 2. Questioni dimenticate nella nostra filosofia politica 3. Trasmissione creatrice e trasmissione stagnante: cultura e potere 4. I popoli e gli scrittori 5. Il ruolo del linguaggio nella creazione della cultura 6. Scrittura e potere 7. La frode dello stato islamico e il terrorismo Appendice Supplemento bibliografico Echi di stampa
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