Queste pagine sono la cifrematica della pandemia, non una diagnosi, ma un’analisi dell’epoca, delle sue liturgie, dei suoi discorsi, della sua geopolitica; e, ancora, notazioni linguistiche, stenografie, aneddoti, aforismi, note del caso, capitalismo della vita originaria. Sono le pagine di una fiaba, di una favola, di una saga. Sono pagine che contribuiscono alla restituzione del testo della civiltà della parola.
Questa pandemia è studiata e sarà studiata per decenni, per secoli. Io non ne faccio oggetto di studio, non sto a spiegarla, a commentarla, a dare a essa un valore, una significazione. La pandemia è la facciata ideale e concettuale dell’epoca. Io l’analizzo e colgo nelle enunciazioni quel che non evita ma rileva l’essenziale della vita, della parola. La pandemia è asterisco di costellazioni linguistiche e segnale di adiacenze strutturali: la lingua della pandemia è la lingua della parola, la lingua analitica, la lingua della clinica. E non c’è più l’idea d’impero.