Quarta di copertina
Imitazioni e poesia del sacro. Dice Leopardi che, pur nella libera imitazione, è assolutamente necessario mantenere un equilibrio spirituale con l'autore imitato. Dice anche che il pregio maggiore dell'imitazione sta sempre "più nell'uguaglianza che non nella simiglianza". "Ma è nell'imitazione", dice Gerbino, "da Pietro di Celle a Teresa di Lisieux, da Yeats a Govoni, da Pascoli ad Arcangioli, da Dolci a Rebora e Guidacci, che ho trovato, nel tema a me caro della Natività, una nicchia in cui dialogare, filtrando ogni cosa attraverso il mio linguaggio, nel tentativo di cogliere quel senso sfuggente delle cose".
Scrive Gonzalo Álvarez García nella Prefazione: "Nel senso del corpo e nel desiderio di rappresentarlo c'è una vocazione sacra in queste poesie di Aldo Gerbino che leggo qui, a Urbino'. Con queste parole Paolo Volponi indicava, oltre un decennio fa, una delle caratteristiche più significative di questa poesia: la sua religiosità, appunto. Furono pronunciate in occasione di un lavoro che avrebbe dovuto produrre una cartella di testi poetici e incisioni nella stamperia editrice frequentata da Volponi, e dove fiorirono per breve tempo i volumi delle Schwartz. Per varie ragioni quella cartella non vide la luce, ma le poesie di allora (che preludono, in un certo senso, a questa raccolta) riflettevano il mondo spirituale e carnale del medioevo, quale metafora della modernità, e che furono poi interpretate da suggestive chine di Bruno Caruso.
Aldo Gerbino è come ipnotizzato dal misterioso trascorrere del 'tempo', nella cui rete invisibile sembra che siano rimaste impigliate persino le Divinità. Da questa sua personale posizione di fronte all'oscuro dramma dell'esistenza scaturisce la sua 'ispirazione', quel bizzarro fenomeno che Federico García Lorca chiamava 'Duende'".
Vuoi condividere questo libro sul tuo sito/blog?
Usa il nostro Widget!
Copia il codice da inserire nel tuo sito/blog
|