Elio Giunta affronta l'analisi di due pittori, Caravaggio e Lyssenko, entrambi portatori della forza della modernità. Estratto del libro
Si dice che i guai [Caravaggio] se li è procurati lui stesso, per il carattere ribelle e litigioso, per la sfrenata volontà di prevaricazione di un sé irruento, con sotto certo la coscienza di una genialità superiore, diversa, da imporre a ogni costo. Sarà; ma a noi che ci accostiamo alle sue tele non resta che constatare come l'eccezionalità della sua pittura non poteva non corrispondere a un tipo di eccezionalità o di estrosità dell'uomo, nelle pur accidentali guise in cui si è espressa. Senza il tipo di uomo, con le sue inusitate, dolorose vicende, non avremmo potuto percepire tanto fascino della malattia, della morte, non avremmo potuto provare lo stupore dinanzi al fissaggio della brutalità assassina quale sta nelle scene ritratte in alcune sue tele tra le più celebri.
(Elio Giunta, Caravaggio)
L'artista russo non cede all'equivoco del molto che oggi si produce come pittura, allorché l'artista resta convinto di potere usufruire di strumenti espressivi innovativi del tutto avulsi dal reale e nel contempo pretendere che l'umanità reale lo accolga appieno e lo senta come suo. Nella pittura di Lyssenko non c'è alcuna dimensione critica che voglia imporsi, come succede per la maggior parte dell'arte contemporanea, specie europea e americana; ma c'è l'ossequio alla verità accessibile dell'uomo e delle cose, alle quali si chiede di restituire un linguaggio che dia emozioni e alle quali perciò il pittore non ha diritto d'imporre i suoi tic visionari e la sua organizzazione teorico-mentale del produrre. Anzi all'uomo e alle sue cose Lyssenko chiede magari la restituzione dell'emblematicità che sta prima nel suo animo.
(Elio Giunta, Lyssenko)
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