Estratto del libro
Tra il Cinquecento e il Seicento, lo sguardo erudito, essenzialmente maschile, ha voluto collocare, e questo dura da qualche secolo, la Donna nel cliché della femmina necessaria per la sua funzione essenziale di madre, tuttavia pericolosa per la sua imprevedibilità e costretta a ricorrere a espedienti per affermarsi come esistente. Gli stessi di cui si servivano, e più che mai si servono, le minoranze. E sono la ribellione aperta e, più ancora, l'astuzia. Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia sarebbe pertanto, secondo questa concezione, la risposta allo stupro subito a diciotto anni: la virtuosa tagliatrice di teste, mutilatrice simbolica di membri maschili. Il controstupro, insomma. E per Roland Barthes, pittura come esorcismo, neutralizzazione della violenza con un'altra violenza.
(Francesco Saba Sardi, commento a Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi)
Il grande merito di Accame, rispetto ad altri che hanno praticato l'arte visiva, la poesia visiva, è di non essere mai sceso a compromessi con il decorativismo, con il testo-texture, di non essersi rifatto alla produzione di "scritture magiche". Accame è rimasto scaglioso, lontano, distaccato dalla discorsività critica. E in questo risiede la sua attualità, il suo interesse. L'arte infatti non serve a niente. Non appartiene al mondo. Guardo i suoi dipinti, le sue opere su tela o su carta, con la stessa impartecipe partecipazione – senza cioè emozioni estranee – con cui posso contemplare un'opera di Kandinskij o un tchurunga dell'aborigeno australiano. La muraglia-confine, posso dunque non considerarla affatto. È solo un ostacolo.
(Francesco Saba Sardi, Accame)
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