Mauro Mellini: "Alle soglie del terzo millennio i pentiti sembrano [...] proiettati verso una inarrestabile e perversa ingovernabilità del loro ruolo. Non rinunciano certo alla ricerca della gratitudine di quanti li 'gestiscono' né lesinano sforzi e fantasia per incrementare la loro soddisfazione. Ma si ha l'impressione che proprio la coscienza di un'effettiva capacità di soddisfare bramosie di successo e di rivalse di chi li utilizza, nonché le esperienze di coinvolgimenti in faide tra magistrati e tra questi e organi di polizia, abbiano dato ai pentiti la consapevolezza di essere uno strumento troppo forte per non essere essi stessi depositari di un potere non necessariamente controllabile e utilizzabile da altri". Estratto del libro
L'Italia è un paese nelle mani dei pentiti?
L'interrogativo ha del paradossale e può sembrare provocatorio. "Pentito", infatti, nel significato originario del termine, da cui quello comunemente usato per indicare il delinquente divenuto "collaboratore di giustizia" deriva, differenziandosene sempre più fino a contrapporvisi, è espressione che evoca resipiscenza e sottomissione.
Così "pentito" dominatore o, semplicemente, personaggio temuto, dal quale possa dipendere la sorte di colpevoli e innocenti, arbitro, appunto, di colpevolezze e innocenze, è figura stonata, che sa di grottesco, di assurdo. Che poi un intero Paese debba sottostare agli umori, ai capricci, agli interessi e alle trame dei pentiti, capaci di influenzare momenti importanti della sua vita sociale e politica e di quella dei suoi cittadini, è cosa che lascia ancora più perplessi e increduli.
Un'incredulità favorita del resto dal fatto che i mezzi di comunicazione di massa, dai quali è tuttavia possibile attingere notizie frammentarie e assolutamente incomplete sul fenomeno pentiti, non hanno mai fornito un quadro complessivo del fenomeno né hanno cercato di farlo.
Allo scetticismo e all'incredulità di molti, che magari, di fronte a una simile affermazione, ritengono di intravedere un intento provocatorio, il fine di salvare chi sa chi e di screditare quel po' di giustizia che si cerca di attuare in Italia, si aggiunge, oltre all'indifferenza indolente e sorniona di molti altri, il quietismo di coloro che, arrivati a rendersi conto di ciò che può significare il potere dei pentiti e quello della loro utilizzazione, quando si sia venuti a capo di qualche vicenda clamorosa nella quale essi hanno finito con l'essere sbugiardati, come il caso Tortora o il processo per l'assassinio di Pecorelli a Perugia contro il senatore Andreotti e gli altri suoi presunti complici, si consolano, nel momento stesso in cui dovrebbero sbigottirsi e allarmarsi, dicendosi che, fortunatamente, queste cose sono accadute e accadono agli altri e che, comunque, da quel momento tutto cambierà.
Quarta di copertina
Voglio dire per quali motivi la realtà dei fatti mi spaventa tanto, affinché, se i miei ragionamenti sono esatti, voi li condividiate e vi prendiate cura almeno di voi stessi, se non degli altri. (Demostene, III Filippica, 20)
L'Autore ai lettori
I Introduzione
II Vecchie storie di vita contemporanea
III Il monumento al non pentito
IV Lo scivolo ne verso il pentitismo
V Leggi, prassi e fantasia
VI Il prezzo dei pentiti
VII Un po' di conti del pentitismo
VIII Giustizia a misura di pentito
IX La verità dei pentiti
X Pentiti speciali per verità speciali
XI La cultura dei pentiti
XII Il balletto del "513”
XIII Confini e orizzonti del pentitismo
XIV Pentiti e società: un bilancio
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